Su Tutte Le Giornate Delle Donne

MaVi
7 min readApr 3, 2022

E tutti coloro che sono individui prima di essere categorie

Mi ci è voluta una settimana per calmare tutta la rabbia che ho sentito durante la festa della donna: ecco cosa è successo e perché dovremmo essere arrabbiati.

L’8 Marzo 2021, mi sono svegliata con un’idea: vorrei che non ci fosse bisogno di celebrare una giornata così retorica come la giornata internazionale delle donne.

Quest’anno sono stata invitata come speaker ad un evento organizzato da imprenditrici ed imprenditori, riuniti per ricordare l’uccisione di un’imprenditrice attivista, Agitu Gudeta all’inizio dell’anno.

Per prepararmi all’evento ho scritto un discorso prendendo spunto dall’ultima edizione di Sanremo, che si è conclusa settimana scorsa. A Sanremo si sa, non c’è solo la musica, ma anche un ritratto dell’Italia.

Nell’edizione appena conclusa, si è parlato molto di donne. Dal direttore d’orchestra Beatrice Venezi al monologo di Barbara Palombelli. Due donne di successo, che parlano per le donne Italiane.

Il discorso della Palombelli inizia così:

“È una serata che io voglio dedicare a tutte le ragazze, a tutte le donne, a tutte le nonne, alle donne Italiane. Perché le donne Italiane hanno in questo momento un compito fondamentale, quello di tenere il paese: tengono le scuole aperte attraverso i tablet, tengono le famiglie tranquille, accudiscono tantissime persone che hanno la positività, e magari non hanno niente o magari hanno tutto. E allora, le donne Italiane, voglio raccontare chi sono.”

Una dedica carina, ma cosa significa esattamente? Significa le tre principali cose che mi fanno arrabbiare:

1) L’idea che tutte le donne siano accomunate da una stessa identità di fondo, che può essere raccontata da una “rappresentante”;
2) L’idea che il ruolo e compito della donna, al quale ogni donna Italiana viene chiamata da niente meno che la Patria, sia quello di “tenere le famiglie tranquille”, di “accudire”;
3) Se esiste un’identità di fondo in ogni donna, tutto ciò che devia dai parametri di questa identità, non è donna: esiste una “donna vera”, una Donna con la D maiuscola, come alcuni (maschi) hanno chiamato la Venezi, ed esistono donne “finte,” donne di meno valore, meno rispettabili. Donne di serie A e donne di serie B, come oggetti o animali a cui si può dare un voto: in fondo, come siamo sempre state trattate nella storia.

Ora, queste idee di sicuro non sono della Palombelli, che ha tentato di fare un discorso in bello e incoraggiante. Queste idee sono presenti nelle parole e nei gesti di tutti i giorni, quelle cose che diamo per scontato e che fanno semplicemente parte della nostra cultura, della nostra maniera di vedere il mondo, di noi, e delle nostre azioni.

Anche molti papà sono a casa a maneggiare i tablet, anche gli uomini hanno la responsabilità di accudire le proprie famiglie, di essere amorevoli e rispettosi. E mentre ci sono di sicuro tantissime donne che si rispecchiano nel ritratto del discorso della Palombelli, ci sono anche tante donne che nelle sue parole non ci vedono neanche un briciolo della loro identità. E infine chi ha il diritto di fare differenza tra una persona, di serie A e una persona di serie B?

E qui mi chiedo: se smettessimo di parlare delle donne come o categoria protetta o come entità magiche e superiori agli uomini? E se fossimo solo persone? Individui?

Durante l’evento mi è stata posta la seguente domanda:

“Per una donna di 20 anni i sogni sembrano tutti realizzabili e spesso si ignorano gli ostacoli che possono allontanarci da essi. Come ti rapporti con il timore di viaggiare e muoverti da sola per le strade del mondo?”

So per certo che questa domanda è stata fatta in buona fede, ed in spirito femminista. Detto ciò, ci sono delle considerazioni che vanno al di là della domanda di per sé, e che di nuovo, mi fanno arrabbiare.

Per cominciare: se fossi stata maschio questa domanda non mi sarebbe stata posta, e nessuno avrebbe messo in discussione la mia razionalità con una domanda del tipo “ma non ti rendi conto dei pericoli che corri?”

Ho raggiunto tanti risultati e limitarsi a questo aspetto della mia vita è quantomeno riduttivo: appunto, se non fossi stata una femmina questo aspetto non avrebbe nulla di speciale.

Per dare contesto, a quindici anni ho vinto una borsa di studio che mi ha permesso di vivere in Cina per un anno. A diciassette ho lavorato in Germania, a diciannove ho lavorato in Austria, ed a vent’anni sono venuta in Olanda per studiare e, come sempre, lavorare.

Dopo la mia laurea ho fondato The Hague X Beirut — L’Aia Per Beirut, in Italiano: una raccolta fondi artistica per sostenere inziative per i diritti umani in Libano.

Ho studiato il medio oriente mi ha insegnato l’importanza di potersi definire da sé, poter parlare per sé stessi e poter decidere il proprio futuro. Si sa, le donne Europee hanno molti più privilegi e libertà delle donne nel resto del mondo. Abbiamo realtà diverse ed ogni giorno sono grata di non dover chiedere permesso o render conto a nessuno.

Nonostante ciò, i numeri registrati nel nostro Paese fanno ancora rabbrividire. Secondo l’Istat, una donna su tre ha subìto qualche forma di violenza nel corso della sua vita, specialmente in famiglia, e secondo il Sole 24 Ore, in Italia viene commesso un femminicidio ogni tre giorni.

Ho viaggiato da sola molte volte, anche nel medio oriente: prima di partire tutti mi hanno sempre detto “non andare,” “cosa fai da sola,” “non hai paura?”.

Chiaro che ho paura.

Ho paura anche a tornare a casa da sola, e per certe zone non giro neanche di giorno. Ogni giorno che esco di casa è un giorno in cui qualcuno mi fischia per strada. In fondo, noi donne non siamo mai davvero fuori pericolo, soprattutto considerando che la maggior parte delle volte i nostri carnefici fanno parte delle nostre stesse famiglie.

Purtroppo ogni donna ha sentito almeno volta sulla propria pelle gli effetti della condizione in cui viviamo, anche in Europa, dove spesso ci piace pensare di essere “società avanzate”. Questi effetti sono spesso invisibili agli occhi degli uomini, e sono tabù di anche tra le donne, argomenti pesanti che rovinano conversazioni.

Non parliamo abbastanza delle chiavi strette a mo’ di tirapugni quando si torna a casa la sera, di quelli che ci hanno toccate, di quelli che hanno sottovalutate, di quelli che ci hanno seguite, e di quelli che ci hanno picchiate.

E invece dovremmo parlarne più spesso, perché trovarsi in quelle situazioni non è una vergogna né una responsabilità nostra. Dovremmo parlarne più spesso tra di noi e con gli altri, per proteggerci, per capirci, e per sostenerci -per emanciparci.

È chiaro che ho paura. Purtroppo non esiste un modo di gestire paura e traumi che vada bene per tutti. Per me, per adesso, la soluzione è proteggersi, essere attenta e non sprovvista, essere furba e non lasciare che la paura si trasformi un limite a ciò che voglio raggiungere.

In fondo, scommettere sul proprio futuro e cercare di raggiungere i propri obiettivi comporta sempre un rischio, per tutti. Viaggiare e cercare di raggiungere i miei obiettivi fanno parte del mio percorso individuale, e nonostante l’essere femmina comporta tanti ostacoli, ho deciso in maniera molto conscia di non lasciare che il mio percorso sia reso impossibile da questi ostacoli.

Non penso che tutte le donne siano accomunate da un’identità o una forza comune. Prima di essere donna sono un individuo, una persona.

La mia individuale determinazione e curiosità mi spingono a tentare di superare i miei ostacoli e di raggiungere i miei obiettivi, non il mio essere donna.

Grazie agli sforzi di molti e molte prima di noi, e nonostante il risultato sia ancora solo parziale, il mondo è cambiato. Con tanto lavoro sono riuscita ad inserirmi in un contesto in cui i giovani e le donne vengono visti come risorse su cui investire.

Grazie alla fiducia di chi lavora con me, ho costruito un progetto che guarda ai nuovi orizzonti della comunicazione online e che sfrutta mezzi come il marketing per contribuire a diritti umani quali la parità di genere, la dignità, e la sicurezza.

Non ho solo viaggiato da sola nella mia vita, ho anche diretto gruppi di lavoro da venti e passa persone, ho creato prodotti innovativi, eventi, e opportunità per me e quelli che mi circondano. Con The Hague X Beirut sto migliorando le possibilità di successo di persone che ogni giorno combattono per i valori in cui credo. Non lo sto facendo perché sono donna: lo sto facendo perché fa parte del mio individuale percorso.

A vent’anni ci si sente forti e si hanno grandi sogni, ma sarebbe sciocco credersi invincibili. Essere una donna mi ha insegnato che no, non sono invincibile, che devo prendermi cura di me, e devo investire sulla mia sicurezza, ma anche sulla mia voce e le mie capacità, perché nessuno lo far1a al posto mio.

Quindi sì, ho paura dei pericoli che vengono con l’essere femmina, ma non li vedo come un motivo per arrendersi alla mediocrità di una vita passata senza provare a raggiungere i propri obiettivi, o senza lottare contro il sessismo in tutte le sue forme.

Questo evento a cui ho partecipato non mi ha dato solo l’opportunità di passare ore e ore a canalare la mia rabbia in a questo testo mentre avevo altri piani. Mi ha dato l’opportunità di articolare ciò che penso su un tema di cui fino ad ora non ho parlato spesso, forse perché lo sento troppo vicino, forse perché quando ci penso, diventa inevitabile arrabbiarmi.

Quando ho scritto questo testo per la prima volta, il feedback che mi è stato dato era che “sei troppo arrabbiata”, e ciò mi ha fatto infuriare ancora di più.

Penso di avere non solo tutto il diritto di arrabbiarmi, ma anche un po’ di dovere: se non ci arrabbiatissimo mai, non cambieremmo mai nulla.

Se smettessimo di parlare delle donne come categoria protetta o entità magiche, se ammettessimo che le donne non sono tutte uguali, che sono prima di tutto individui, forse, allora le conversazioni sulle donne, le giornate internazionali delle donne, e quelle contro la violenza sulle donne non sarebbero così retoriche e povere di contenuto come lo sono ora.

Forse, si inizierebbe davvero a parlare di parità di genere.

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